Del rialzo della borsa americana, e della frantumazione sistematica dei massimi storici, colpisce fra gli altri un aspetto: la natura moderata della crescita.
Basti pensare che nell’ultimo anno soltanto 28 volte lo S&P si è concesso un rialzo giornaliero superiore all’1%: fa l’11% del totale dei giorni.
È evidente che la rarità di sedute brillanti, pur non avendo impedito al bull market di svilupparsi, ha trattenuto al di fuori di esso larghe schiere di investitori, mai persuasi del tutto malgrado il +145% messo a segno da marzo 2009; al tempo stesso inducendo chi pure ha creduto al bull market ad atteggiamenti cauti e talvolta rinunciatari.
Così, mentre la maggioranza aspettava la “tempesta perfetta”, è andato in scena il “paradiso perfetto”, per così dire.
Ipersensibilità ai segnali ribassisti, diffidenza e distrazione nei confronti dei segnali rialzisti, fanno da corollario: qualche settimana fa si è diffusa la convinzione che Wall Street dovesse scendere per una configurazione (Hindenburg Omen) peraltro mai concretizzatasi appieno: da allora lo S&P ha galoppato, cogliendo ancora una volta di sorpresa i più (ma non tutti, per fortuna).
Al tempo stesso lo sfondamento dei massimi del 2000 e del 2007 – un breakout in piena regola, davvero da manuale – non ha indotto la chiamata all’azione tipica di queste circostanze.
Il fenomeno si è manifestato anche in Italia, dove la “formazione ad isola” disegnata dal gap down del 25 febbraio e dal gap up del 22 aprile non ha suscitato alcuna reazione.
E questo spiega fra l’altro perché le attese di una fase correttiva, risultano sistematicamente disattese: c’è così tanto denaro ai margini del listino, e al tempo stesso così pochi venditori, che il mercato proprio non ce la fa a perdere terreno.
La correzione arriverà soltanto quando si abbasserà la guardia.